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    quando la schiuma è fatta in casa

da tipico in tavola   

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La popolarità della birra artigianale è in netta ascesa.

E chi ama davvero questa bevanda

ha il dovere di pretendere, su tutto, la qualità.       

 

Il mondo della birra artigianale italiana è in "fermentazione"! Non è solo un gioco di parole: questo termine riflette ciò che sta avvenendo nella nostra penisola in un settore che, a differenza d’altri paesi, ha sempre dovuto lottare per poter emergere e proporre il proprio prodotto di qualità.

Ci sono fattori che non rendono facile il compito di trovare spazio e imporsi nel mercato: il consumo stagionale di birra, penalizzante, e poi la grande industria globale, la dominante cultura nazionale del vino e, di conseguenza, la mancanza di una cultura birraria. Nonostante ciò, la situazione sta cambiando, in positivo e come già avvenuto in altri paesi, con la nascita di nuovi piccoli produttori. La storia si ripete, nel bene e nel male, come vedremo.

Il micro brewery movement

Il fenomeno nasce in Inghilterra, dove, nei primi anni Settanta, un gruppo spontaneo di consumatori si oppose alla crescente globalizzazione del gusto imposta dai grossi gruppi industriali: la vera "ale" inglese stava scomparendo, sostituita da birra filtrata e pastorizzata. Fondarono l’associazione CAMRA (Campaign for Real Ale, ovvero "campagna per la vera birra") con lo scopo di promuovere la vera birra inglese, vale a dire quella prodotta secondo la tradizione (e soprattutto rifermentata in fusto, botte o bottiglia), e per sostenere i piccoli produttori che, grazie a questo piccolo gruppo di persone, poterono crescere, prosperare e svilupparsi. Oggi nel Regno Unito CAMRA può vantarsi di essere una delle più importanti associazioni di consumatori, arrivando ad avere anche più di 100 mila iscritti.

"L’onda" giunse anche negli Stati Uniti, dove si propagò sempre di più: la crescita delle micro-brewery fu esponenziale, e da una quarantina di piccoli produttori si passò ai circa 1.400 attuali. Superarono i maestri inglesi e, aiutati dal melting pot di razze presenti, nel paese nacquero tanti nuovi birrifici che ricrearono birre di stile britannico, ceco, belga, tedesco… e tante nuove sperimentazioni. L’onda ritornò alla nostra sponda dell’Atlantico all’inizio del nuovo millennio, ravvivò il movimento inglese e toccò tutta l’Europa occidentale. La crescita del consumo di birra artigianale negli Usa e nel Regno Unito suscitò e suscita tuttora l’interesse dei principali gruppi industriali del settore che, oramai da qualche anno, fanno shopping acquistando le realtà più sviluppate e più redditizie. Queste acquisizioni non sono indolori: qualche chiusura, distribuzione nazionale che significa trasferimento di produzione negli impianti principali del gruppo, aumento della produzione, calo della qualità.

Piccoli produttori crescono

L’onda atlantica arrivò in Italia attenuata nel 2000, ma all’epoca già esistevano alcuni produttori artigianali di birra, i pionieri, influenzati principalmente da "venti" tedeschi e belgi e da un amore per l’homebrewing, che significa produrre la birra in casa. Nella seconda metà degli anni Novanta nacquero i primi microbirrifici. Il momento era propizio: il mercato era dominato da prodotti industriali simili mentre nei consumatori cresceva un desiderio di qualità e di prodotti originali e naturali.

Qualche importatore lungimirante iniziò a importare birre artigianali belghe, tedesche e inglesi, e aprirono i primi negozi specializzati. I mastri birrai si ritrovarono a lavorare duramente per arrivare a ottenere non solo un prodotto naturale, ma anche di qualità e affidabile. Alcuni avevano fatto pratica all’estero, altri erano autodidatti e sperimentavano: li univa il sogno di poter conquistare il mercato e catturare l’attenzione degli amanti di questa bevanda. Dal 1996 ai primi anni del nuovo millennio si passò da uno sparuto gruppetto di microbirrifici, localizzati principalmente al Nord, a un folto gruppo di talentuosi produttori che raggiungevano la cinquantina. La crescita fu più marcata e sorprendente negli anni che seguirono: oggi sono circa 200 i siti produttivi ramificati sul territorio italiano.

Ogni anno si assiste ancora all’apertura di nuove realtà da parte di coraggiosi giovani e meno giovani folgorati dal sorso di una ricca, viva e profumata birra artigianale bevuta in una delle tante manifestazioni e degustazioni che si tengono in Italia. Il boom sembra ora stabilizzarsi: la difficile situazione economica incide sulle possibilità di trovare soldi e finanziamenti per aprire un’attività "rischiosa" come un microbirrificio.

Conoscere la birra artigianale

Da parecchi anni il nostro paese sembra aver abbandonato lo stereotipo della birra come semplice bevanda bionda di poche pretese, semplice, leggera e non impegnativa. Da regina dei pub e dei giovani, ora viene scoperta (riscoperta in altri paesi) da cuochi famosi e buongustai anche in abbinamento a piatti sofisticati. Si moltiplicano i ristoranti e i locali che offrono una carta delle birre accanto a quella dei vini. Oltre ai negozi specializzati, anche alcune enoteche propongono uno spazio dedicato alla birra artigianale italiana ed estera. Uno dei problemi principali fino a qualche anno fa era proprio la reperibilità del prodotto: spesso si poteva degustare solo localmente o solo nel luogo di produzione.

I primi successi di vendita hanno permesso ai microbirrifici di investire in impianti di imbottigliamento: la birra artigianale in bottiglia può ora viaggiare e raggiungere persino gli Stati Uniti, il Giappone o il negozio sotto casa. L’accessibilità a questo prodotto particolare ha portato il consumatore a chiedere, interessarsi, informarsi, insomma a voler capire questo mondo.

Le associazioni di settore si sono moltiplicate, soprattutto a livello locale: club, centri, cerchie di amici, circoli sono presenti e attivi in ogni città. A livello nazionale, la prima associazione di produttori artigianali si è aperta anche ai semplici appassionati e qualche anno fa è nata anche un’associazione di degustatori. Manca un movimento forte e unito come CAMRA e questo è un punto debole per la crescita del settore. Un paio di anni fa si è tenuta la prima fiera della birra artigianale, importante passo per promuovere la cultura birraria, il primo campionato delle birre e altre manifestazioni e sagre in varie parti del paese che riscuotono sempre più successo di pubblico.

I consumatori saranno sempre più consapevoli, pronti a recepire le novità, ad apprendere un nuovo modo di bere e di porsi di fronte alla birra artigianale così come con il vino. Da parte dei produttori dovrà necessariamente esserci una presa di coscienza che il prodotto sta affermandosi sia tra un pubblico giovane sia tra un pubblico più adulto, entrambi attenti a ciò che bevono.

La qualità, quindi, deve essere il primo obiettivo di un mastro birraio. L’estro e la creatività sono due fattori importanti e caratteristici di un produttore italiano ma tralasciarli, a volte, potrebbe rappresentare un beneficio per tutti: fare bene poche tipologie di birra e applicarsi per renderle un prodotto "alto" e affidabile nel tempo è più importante che produrne troppe con qualche "caduta" di qualità.

Come dico sempre ai miei corsi e alle degustazioni: artigianale, in tutti i campi, non sempre è sinonimo di qualità. Tocca a noi consumatori stare attenti, vigilare, capire, apprendere… E quale compito migliore ci potrebbe spettare di questo: scoprire nuove piacevoli sensazioni gustando un bicchiere di fresca birra di un piccolo produttore locale!

 

Microbirrificio, brewpub, microbirreria

Esiste ancora un po’ di confusione per quanto concerne la terminologia utilizzata. Comunemente, per identificare un impianto di capacità produttiva limitata si usa il termine microbirrificio.

Quando alla produzione di birra si abbina un ristorante o pub annesso, dove viene venduta la maggior parte della produzione, si dovrebbe chiamare brewpub.

La microbirreria, invece, rifornisce prevalentemente altri dettaglianti e può avere il locale di mescita.

In inglese si distingue solo tra microbrewery e brewpub; in Germania la Privat Brauerei produce in quantità limitata e basta, mentre la Gasthof Brauerei produce e vende in un locale annesso.

 

 

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