il fratello più forte

 

 

Bowmore

 

Continuando il nostro viaggio nella splendida isola di Islay troviamo, poco lontano da Ardbeg, un'altra piccola cittadina dall’aspetto ordinato ed operoso.

Dalla Main Street si vede chiaramente il mare, che nei frequenti giorni di burrasca sembra quasi voler inghiottire il villaggio da quanto s’ingrossa. Eppure, come ormai la Scozia ci ha abituato, da luoghi apparentemente duri e inospitali spesso nasce l’acqua migliore che l’uomo possa desiderare: il Whisky. Così anche questo piccolo ritaglio di costa strappato ad una natura tanto ostile sembra voler premiare la tenacia degli uomini permettendo la nascita di quel grandissimo malto che è  il Bowmore.

Il villaggio, oggi divenuto la capitale simbolica dell’isola, ha la classica architettura nord-europea del tardo diciottesimo secolo con gli edifici della distilleria, di un candido colore bianco, praticamente attaccati al bordo del porto; se decidete di visitare l’isola, sicuramente Bowmore saprà riservarvi una calda accoglienza, magari presso la “The Harbour Inn” in The Squeare dove potrete gustare ottimi piatti del luogo annaffiati dalla robusta birra scozzese (a proposito, ricordo ancora un Bruichladdich 30 anni di G.&M. della serie Cask veramente mitico che trovammo nel bar della taverna…).

La storia della distilleria comincia ufficialmente nel 1779 per opera del suo fondatore, tale John Simpson un mercante del luogo. Passò presto nelle mani di James Mutter che iniziò varie opere d’ampliamento e ristrutturazione; i suoi discendenti mantennero il controllo della distilleria fino al 1890 quando fu venduta e divenne la “Bowmore Distillery Co.”. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu sede del comando costiero dell’Aviazione di Sua Maestà e nel 1963 entrò nella fase “moderna” della sua storia, a seguito dell’acquisizione da parte di Stanley P. Morrisson. L’attuale fisionomia degli impianti si deve all’opera d’ammodernamento voluta da quest’ultimo che, come spesso è accaduto per altre distillerie, decise di abbandonare gran parte dei tradizionali sistemi produttivi anche se i malting floors furono mantenuti (tuttavia non si sa esattamente in che misura il malto sia oggi lavorato con questo metodo); la ragione sociale cambiò in “Morrison Bowmore Distillery”, come oggi si può leggere su ogni bottiglia prodotta.

Nel corso degli anni il nome di Bowmore è diventato sinonimo di qualità assoluta per un malto straordinariamente complesso e bilanciato allo stesso tempo; rispetto ad altri prodotti isolani (Ardbeg, Lagavulin) il sentore di torba è certamente minore, a volte addirittura quasi impercettibile. Quello che caratterizzava il sapore era (…sigh!) un fortissimo sapore d’alghe marine che s’inseriva miracolosamente bene nell’ambito della stupenda dolcezza del malto, ammorbidita magari da uno splendido legno di Sherry, il tutto con la rotondità tipica dei prodotti di grande stoffa.

Ancora una volta devo esprimermi al passato poiché le produzioni attuali, per quel poco che ho assaggiato, sono decisamente diverse dai Bowmore che mi sono rimasti impressi nella memoria sia pur con un’eccezione, come illustrerò in seguito.

Come sempre inizierò col descrivervi quello che, a mio avviso, considero essere la massima espressione del Whisky in questione: il mitico 7 anni. Lo definisco così perché vi assicuro che, dopo averlo assaggiato, ho capito subito di essere di fronte a qualcosa di grande che non avremo più la possibilità di bere ancora in futuro.  Anche se provare cose simili è un po’ farsi del male, quando la bottiglia è finita, l’esperienza serve sicuramente per avere termini di paragone validissimi in termini di tipicità del prodotto.

Come per l’Ardbeg nero, anche in questo caso sto parlando di una bottiglia di altissima collezione che ormai neanche i più forniti collezionisti sono disposti a cedere nonostante le quotazioni raggiunte; in Giappone, dove il Bowmore è ambitissimo, penso che si farebbero autentiche follie per riuscire ad aggiudicarsi una bottiglia!

Il distillato è databile approssimativamente verso la seconda metà degli anni cinquanta, l’imbottigliamento è in pieni anni sessanta (come si evince dalla fascetta dei Monopoli a tre stelle). Anche la forma del tappo a vite, di colore oro pallido, indica l’epoca di produzione con il suo bordo più basso di quelli attuali (anni settanta in poi). Alla base del collo, di profilo bombato, c’è un collarino con la scritta “Pure Islay Malt” in caratteri gotici con al centro il “7” in rosso. L’etichetta è un capolavoro di semplicità, quella purezza che tanto piace a noi collezionisti e che così bene si sposa con il carattere del luogo da cui il Whisky proviene: sotto la scritta “Bowmore”  l’indicazione dell’anno di fondazione della distilleria ed un bellissimo disegno raffigurante in primo piano i famosi magazzini a pelo dell’acqua dove questo stupendo malto ha riposato per 7 lunghi anni, come ci ricorda la scritta trasversale in rosso. La ragione sociale riportata è “Sheriffs Bowmore Distillery Ltd” il che lo fa risalire inequivocabilmente ad un’epoca antecedente a Morrison e quindi al 1963. Sui due angoli inferiori dell’etichetta compaiono gradazione e capacità, rispettivamente 43 gradi e 75 centilitri; a chiudere le poche ma essenziali informazioni il nome dell’importatore, la COGIS Srl di Milano. Sul retro una chicca per collezionisti: una piccola etichetta a forma di scudetto (stile polizia americana, per intenderci) col nome del produttore, un castello stilizzato ad una scritta in gaelico che ci viene gentilmente tradotta dalla Sheriffs in: “FULL AND EXCELLET QUALITY”.     

A causa del colore verde scuro del vetro è impossibile distinguere quello del distillato; e qui viene in aiuto la mia esperienza, avendolo bevuto! A mio avviso l’invecchiamento è avvenuto in superbi barili di bourbon, probabilmente al primo riempimento. Il colore, infatti, è il classico oro antico che generalmente indica l’invecchiamento in questo tipo di legno e, in ogni modo, il sapore non aveva sentori di sherry. Il profumo, appena aperto, era d’alghe potentissime, quasi nauseanti. Rapidamente quel picco d’aroma scemava in un più articolato insieme di profumi dove, in ogni caso, le alghe dominavano lasciando emergere le note del malto unite alla dolcezza della vaniglia del legno.

Incuriosito dall’origine di tale aroma chiesi lumi ad un amico gestore di un fornitissimo bar; mi spiegò che all’epoca i magazzini d’invecchiamento si allagavano periodicamente durante le maree, inondando con alcuni centimetri d’acqua mischiata ad alghe una parte dei pavimenti. Gli uomini della distilleria sapevano che questo fenomeno, impregnando il legno delle botti di acqua marina, contribuiva negli anni al rilascio del caratteristico aroma che tanto differenziava il loro prodotto da tutti gli altri. Non si sa fino a che punto questa leggenda sia vera e fino a quanto, soprattutto, contribuiva a formare il carattere del Bowmore; la cosa certa è che il profumo e il sapore delle alghe si avvertiva benissimo, perciò da qualche parte doveva pur arrivare! Alla sorpresa del naso seguiva quella, non meno sorprendente, del palato: al primo sorso sembrava di prendere un pugno nello stomaco da quanto intenso era l’insieme dei sapori. Potrei definirlo quasi masticabile, sembrava di mangiare qualcosa con intense note di liquirizia, vaniglia, alghe, pepe e fudge! Eppure alla base c’era una morbidezza del malto assolutamente vellutata ed una rotondità di corpo incredibile, se si pensa che era “solo” un 7 anni, che si sposavano perfettamente col retrogusto intenso e duraturo da autentico isolano dei tempi andati. Il risultato di tutto ciò fu che non riuscimmo più a smettere di bere, dovettero letteralmente portarci via la bottiglia dal tavolo e in ogni caso, nonostante i nostri buoni propositi di assaggiarlo con coscienza una volta fatto respirare adeguatamente, ebbe vita brevissima. Non ricordo un altro Whisky che ci stregò al primo assaggio come questo Bowmore che, tra l’altro, era praticamente pronto da bere senza troppo ossigenarsi…o forse eravamo tutti sotto effetto di un incantesimo? Per cercare di toglierci ogni dubbio circa le caratteristiche del prodotto, decidemmo di aprirne un’altra a distanza di quasi due anni: niente da fare, durò ancora meno della prima! Un amico, in particolare, lo definì in un modo quantomeno curioso: un Whisky da bere a tazze, cosa che fece senza farsi troppo pregare.

Fortunatamente ne ho ancora una bottiglia che riposa tranquilla fra le altre della mia collezione; credo proprio che mi accontenterò di quello che ho capito finora in merito a questo splendido prodotto e la lascerò chiusa ancora per molto, molto tempo.

Ad ogni modo c’è un altro famosissimo Bowmore che ricordo con nostalgia ed affetto non certo inferiori al 7 anni: il Veliero. Fra i collezionisti è conosciuto semplicemente così per via del bellissimo disegno raffigurante una barca a vela in balia della tempesta con il suo marinaio che lotta contro la furia del vento e del mare.

Le sole informazioni date sono il nome della distilleria, che troneggia sull’etichetta in grossi caratteri neri, ed il tipo di Whisky contenuto nella bottiglia (Islay Single Malt Whisky, ovviamente). L’età non è dichiarata ma sappiamo essere di 8 anni, l’importatore era la EMMEPI Import-Export di Roma e capacità e gradazione rispettivamente 75 cl. e 43 gradi. Anche per questo prodotto la distilleria si firmava Sheriffs-Bowmore, quindi l’epoca di produzione ed imbottigliamento dovrebbero essere le stesse del fratello minore. A questo punto scende un velo di mistero sopra la storia di questo malto, poiché la fascetta dei Monopoli non è databile agli anni sessanta, come dovrebbe, ma è chiaramente successiva direi di quelle usate a partire dalla fine degli anni settanta. Secondo alcuni tutto ciò si spiegherebbe con il fatto che le bottiglie rimasero molti anni etichettate e pronte per la spedizione in distilleria a seguito di problemi avuti dall’importatore che non le ritirò tutte, e solo successivamente vennero messe in commercio. Purtroppo non ho mai visto un Veliero con fascetta a 3 stelle degli anni sessanta, per cui devo prendere per valida la teoria e accettare comunque il fatto che si tratta di un prodotto anni ’50/’60 come distillazione, anche perché il tappo a vite ha la tipica forma di quelli dell’epoca.

Il dubbio, del resto, ce lo togliemmo assaggiandolo e posso solo dirvi che si tratta proprio di un bel match con il 7 anni! Anche questo Bowmore è straordinariamente complesso e delicato allo stesso tempo, un amico lo definì a ragione un esame di laurea. Il sentore d’alghe, nota caratteristica ormai radicata nelle nostre menti, appariva subito fortissimo e a tratti si nascondeva quasi nei meandri della moltitudine di profumi sprigionati, per poi riemergere all’improvviso prima di inabissarsi di nuovo. Tutto ciò ci costringeva, nostro malgrado, a dare fondo rapidamente a questo capolavoro per la voglia di riuscire a capirlo in tutta la sua complessità anche se sono sicuro che ce ne vorrebbero ben più d’una per comprenderne appieno le sfumature!

Purtroppo per tutti noi, anche il Veliero ha in comune con il 7 anni la pressoché totale impossibilità ad essere reperito nemmeno fra i migliori “fornitori” che ben si guardano di intaccare le loro ormai povere scorte di questo gioiello del passato.

Parlando di tempi più recenti c’è un’altra espressione di Bowmore assolutamente tipica e ottima da bere: il 12 anni in bottiglia brown bassa. Si tratta di un imbottigliamento che iniziò ad essere reperibile all’inizio degli anni ottanta, ed infatti ce ne sono varie versioni apparentemente identiche ma osservando attentamente la bottiglia si notano alcune piccole differenze. Quella che è subito evidente è la scatola, che nelle ultime versioni era a forma di tubo con una piccola maniglia. Inizialmente era di cartone e di forma classica, splendidamente rifinita con le insegne della distilleria.

Miracolosamente anche in quest’espressione le alghe facevano la parte del leone nell’insieme dei sapori, ed inoltre si avvertiva distintamente un affinamento in un valido legno di sherry. Se però si risale alle ultime produzioni si nota immediatamente che il sapore d’alghe in pratica scompare pur rimanendo un prodotto d’ottima fattura. Inevitabilmente anche per questa distilleria i tempi moderni iniziavano a farsi sentire ed ormai si può dire che quella nota tanto caratteristica oggi sia solo un ricordo che, timidamente, in qualche caso riaffiora. In ogni caso consiglio a tutti, se vi capita di vederlo, di non farvelo scappare!

A questo punto la mia esperienza di assaggi si ferma, poiché devo dire con molto rammarico che tutto ciò che ho assaggiato di abbordabile (al prezzo!) come imbottigliamento originale si è rivelato deludente. C’è da dire che Bowmore può vantare una gamma vastissima di espressioni anche se i prezzi di quelle migliori spesso sono molto alti e, a mio avviso, non sempre sono indice di prodotti superlativi. Per farvi un esempio, tempo fa feci assaggiare al gestore di un noto Pub milanese appassionato di Bowmore il mio 12 basso e, senza mostrargli cosa fosse, gli chiesi di indovinare cosa stava bevendo. Non solo non seppe rispondere, ma quando glielo feci comparare al 25 anni nella bottiglia a ceramica col dragone disse che il mio gli piaceva molto di più, e a quel punto volle sapere di che cosa si trattava. Immaginate il suo stupore quando vide che era un Bowmore: giurò che era il migliore che avesse mai bevuto!

Sicuramente oggi rimane uno dei migliori e dei più blasonati Whisky sul mercato, ma a detta di molti anch’esso vive sugli allori.

 Per quanto riguarda le ultimissime produzioni in vari legni aromatici (porto, bordeaux ecc.) non posso riferirvi nulla in quanto non credo ne’ alle mode ne’, tantomeno, agli esperimenti strani: per me un buon Whisky deve invecchiare in barili di bourbon o di sherry. Ad ogni modo chiunque abbia da riferire non esiti, mandatemi ogni vostra impressione o consiglio.

Per concludere una menzione (con lode!) merita l’unico Bowmore che sia riuscito ad entusiasmarci quasi come quelli di una volta: si tratta di un superbo 24 anni del 1972 imbottigliato dalla Society. Ammorbidito quanto basta dal lungo invecchiamento, non ne mostrava i difetti e, nello stesso tempo, riusciva ad esprimersi con una tipicità inconfondibile pur senza raggiungere le vette dei suoi antenati. Inequivocabilmente isolano, seppe accontentare i palati di tutti gli amanti di questo figlio di Islay anche perché la gradazione naturale dopo quasi un quarto di secolo non era eccessiva (54,8°) e, dopo un’adeguata ossigenazione, si riusciva a gustare anche senza praticamente aggiungere acqua, giusto poche gocce per esaltarne il piccante ed il dolce allo stesso tempo. Speriamo che in futuro la Society riesca ad aggiudicarsene altri buoni cask.

E anche questa volta siamo arrivati ai saluti; come sempre spero di ricevere vostre notizie in merito a qualunque dubbio o curiosità possa avere.

Si è fato un po’ tardi, credo che sia ora di un goccio di quello buono….Slàinte!

Alessandro 

  

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